Storia Ossa TR 80. Amore a prima vista

La OSSA TR (TRial) era un modello di motocicletta da trial prodotto dalla OSSA tra il 1977 e il 1985. Nel corso della sua vita commerciale sono state prodotte tre versioni con le seguenti caratteristiche generali: un motore monocilindrico a due tempi raffreddato ad aria, disponibile in due cilindrate (inizialmente 244cc e 310cc e, dal 1980, 230cc e 302cc), telaio a doppia culla, freni a tamburo e ammortizzatori forcella convenzionali anteriori e posteriori.
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Caratteristica di tutte le versioni era l’estetica inconfondibile e soprattutto l’adozione di un colore d’impatto, al punto che la moto era popolarmente conosciuta più per il colore che per il nome commerciale (dall’iniziale TR 77, noto come OSSA Green, al famoso OSSA Yellow, il nome con cui la TR 80 è passata alla storia, Senza dimenticare le successive versioni arancione e rossa.
Durante la stagione 1979, Mick Andrews e il suo compagno di squadra Albert Juvanteny provarono due prototipi di quella che sarebbe diventata la TR 80 in gara, prototipi che non passarono inosservati per il loro colore giallo.
Nel frattempo, l’ingegnere Mario Borrás si occupò di completare la progettazione e lo sviluppo della nuova OSSA TR80 350, che fu presentata nell’autunno del 1979 al Salone dell’Auto di Parigi, ottenendo una buona accoglienza grazie al suo design eccezionale.
La moto è stata commercializzata dal 1980 nelle cilindrate di 350 (gialla) e 250 (arancione) Per competere con le opzioni, OSSA ha poi ingaggiato il miglior pilota catalano dell’epoca, Toni Gorgot, con il quale ha ottenuto numerosi successi sportivi ed è riuscito a far schizzare enormemente alle stelle le vendite della TR 80 (ne sono state prodotte quasi 5.000 unità).
ossatr80_gorgot2Questa versione della TR80 ha dato inizio a una nuova “saga” di moto da trial OSSA, rinnovando completamente il concetto che il marchio aveva applicato sin dal primo MAR e poi seguito brevemente dalla TR 77. La nuova TR 80, conosciuta da tutti come quella gialla per via del suo suggestivo colore giallo all-over (telaio, serbatoio, coperchi filtri, ammortizzatori, parafanghi e manubrio), rappresentava un rinnovamento assoluto, non solo dal punto di vista estetico e ciclistico, ora con telaio multitubolare smontabile, ma anche dal punto di vista del motore. Questa, basata sui grandi modelli enduro del marchio, ora consisteva in un cilindro a cinque alette, una testata ad alette radiali e un carburatore Amal del ’27, insieme a un tubo di scarico a sciarpa e due marmitte. Il suo design è stato definito “bello, eccezionale e innovativo” e, tra le altre migliorie, il telaio ha offerto il record per l’altezza da terra.
La cilindrata della versione 350 era di 303cc e non di 350 come indicato nei depliant commerciali (con una corsa corta di 65 x 77 di diametro). Per quanto riguarda la 250, è di 230 cc cubico con corsa corta (60 x 70 di diametro) ed è stata rilasciata nel 1980 con lo stesso colore giallo della 350, diventando arancione dal 1981. È stato detto che era più leggero del 350.
L’OSSA TR ha ottenuto numerosi successi internazionali nelle mani dei migliori piloti, tra cui i due Campionati Spagnoli di Trial nel 1980 e nel 1981 vinti da Toni Gorgot. Nel 1980, OSSA è stato anche protagonista di un’insolita doppietta per raggiungere, insieme ad Albert Juvanteny, il secondo posto statale e tre campionati olandesi (dal 1980 al 1982, tutti e tre vinti da Peter Van Enckevort).
Per quanto riguarda i piloti che si sono distinti maggiormente con questo modello, oltre ai già citati Andrews, Juvanteny, Gorgot e Van Enckevort, dobbiamo ricordare i catalani Kiku Payá, Joaquim Abad e l’italiano Renato Chiaberto. Di tutti, è stato senza dubbio Gorgot a ottenere i maggiori successi, poiché con la TR 80 ha vinto gli unici due campionati spagnoli che il marchio ha ottenuto nel corso della sua storia.

OSSA TR 80 SCHEDA TECNICA

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Testo e documentazione: Víctor Martín “Bonaigua”

L’OSSA TR80 BRANDO. DI ASIER ZURBANO

Prima di entrare nel merito, vorrei spiegare perché sono finito in sella a questa moto. Tutto è iniziato quando avevo circa cinque anni. In casa mia c’erano due motociclette, una Ossa tr-80 gialla e una Montesa Cota 349 del 1980. Quando ho avuto l’uso della ragione, alla montesa mancavano dei pezzi perché erano stati prestati a un amico (ho preso la chiave del garage e senza farmi vedere stavo per salire sulla moto e salire in cima al piedistallo di avviamento per sognare di poterci guidare, cosa che non sarebbe mai successa perché una delle parti che non avevo era il carburatore).
L’Ossa era quella che partiva e funzionava, ma senza silenziatore posteriore faceva molto più rumore di una moto da gp. Tutti i venerdì d’autunno e di primavera mi sedevo aspettando che mio zio tornasse dal lavoro e andasse con l’Ossa in montagna. Entrambi viaggiavamo sulla stessa nuvola ma con scopi diversi, lui andava a vedere le tracce dei cinghiali e io andavo ad alimentare la mia passione per le motociclette.


Potrei raccontare mille aneddoti, perché li ricordo come se il tempo non fosse passato. Ne condividerò uno in questo senso; Essendo piccolo, i suoi piedi poggiavano sulla zona del motore, uno sulle alette della testata e l’altro sull’estremità della sciarpa di scarico. Uno dei tanti venerdì, una delle tante scarpe che bruciai su quella bici non era un leggero scioglimento di gomma, ma raggiunse il mio piede e mio zio mi afferrò per le ascelle e mi mise i piedi in una zattera. Lì sono stati refrigerati con la forza.
È stato solo a 16 anni che ho ricevuto la mia prima bici da trial, questa era già moderna. Tramite Fernando Echazarra, che ha diverse moto classiche, ho iniziato ad entrare nel mondo del trial classico, ma non ne ho mai comprata nessuna. Volevo restaurare l’Ossa che da bambino non solo mi portava in montagna, ma mi trasportava anche fuori dal mondo. Dopo aver conosciuto Víctor, il padre di Marta (la mia compagna), sono entrato nel mondo classico. Mi ha lasciato una Fantic 300 e ho iniziato a godermi le zone con la mia famiglia, la moto, gli amici e un’atmosfera classica.
Nella mia prima partecipazione al SSDT 2015, ho proposto a Marta e lei con un sì ha aperto la porta all’Ossa che abbiamo commentato in questo reportage. Le ho regalato l’anello di fidanzamento e lei mi ha regalato l’orologio, un super Casio waterprof in modo che in Scozia sarei stato puntuale tutti i giorni, cosa che è avvenuta tranne il martedì quando se fossero passati altri 6 minuti sarei stato fuori gara.
Non contenti del suo Casio, padre e figlia sono riusciti a regalarmi quella moto che mi ha rubato il sonno da bambino. Non si sono accontentati di un Ossa di serie, no, hanno optato per un Ossa restaurato e preparato da Secció R che era in vendita da un trialista catalano che era un habitué delle prove classiche.

Dopo il ritorno degli scozzesi, la settimana successiva abbiamo partecipato alla due giorni di prova classica in All: lì Marta mi ha dato per prima la targa Ossa. Non sapevo cosa fosse, non capivo niente. Ero ancora in Scozia e lì mi aspettavano tutti per scoprire il gioiello giallo. Sì, era lì, su un cavalletto dietro il furgone. Questo mi ha fatto venire la pelle d’oca e da buon basco ho sopportato l’emozione, ma in verità la sorpresa è stata così grande che è stato il corpo a non reagire e non io a sopportare l’emozione.
La prima è stata nei due giorni di Ripoll, le sensazioni sono state molto strane. Ancora una volta, avevo appena guidato una Fantic 300. Appena avviò il motore di questa Ossa rimase totalmente perplesso dal suono morbido, metallico e rotondo che emetteva. Una volta in sella, la posizione in cima è molto alta. Potrei dire che sulla bici si ha una vista a volo d’uccello dei dintorni. I primi metri dell’interzona mi hanno fatto vedere una moto silenziosa e maneggevole che quando si ha una salita il motore spinge ai bassi regimi molto pieno, con energia.
Il secondo passo è stato quello di entrare nelle zone, c’era poca somiglianza con quell’Ossa con cui sono diventato amico pochi minuti fa. Era ancora docile e fluido, ma non aveva quella facilità di guida che mi aveva trasmesso all’inizio. Ad ogni curva bisogna aggrapparsi al manubrio perché, se si perde la concentrazione o la forza, lo sterzo tende a chiudersi velocemente. Non succede sempre quando mi giro, ma succede nelle curve strette o forzate che si verifichi quella situazione. Quando la posizione del corpo è ideale, la moto può girare rotolando a terra in pochissimo spazio, le curve che ottengo con questa bici sono le più strette che ho fatto senza sollevare la ruota anteriore (con la Fantic era la mia risorsa più utilizzata, girare sollevando la ruota anteriore).
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Per quanto riguarda le sospensioni, l’assetto era perfetto, non ho toccato nulla. Le sospensioni permettono alla bici di rotolare a terra il più a lungo possibile. Con una posizione di guida così alta, sono necessari buoni ammortizzatori in modo che ogni movimento di rollio venga assorbito e non si perda costantemente l’equilibrio.
Ora andiamo al cuore della moto, al suo motore, spinge molto ai bassi regimi e non è un motore che allunga molto. Con il suono dolce che ha, mi permette di rotolare sentendo ogni pistone e la sensazione di controllo è brutale. Personalmente, mi piace rendere il passaggio attraverso la zona il più lento possibile e con questa bici ci riesco. La moto mi prende senza problemi e non mi accorgo affatto di una mancanza di potenza. Il problema arriva quando apro il gas, la risposta del motore è un po’ pigra. Ora quello che succede è che il mio corpo sta anticipando la risposta del motore. Il motore spinge molto forte e avendo il corpo mal posizionato, mi costringe a lottare con la moto per non togliere il gas e riposizionarmi. Ma non posso lamentarmi della mancanza di potenza.
Quando lascio un piede nella zona, è molto difficile che sia solo quel piede a penalizzare. Il peso della bici diventa notevole e l’80% delle volte quel primo piede è accompagnato da un secondo e persino da un terzo. È lì che arrivo con la moto, vedo zone difficili che puoi togliere a 0 o 1 (con la Fantic) e con questa moto oggi non riesco a migliorare da 3.
Dopo la rabbia arriva la calma e questo accade quando ripenso a quei pomeriggi che da bambina mi sembravano eterni, in attesa di uscire con la moto per andare in montagna. E ora posso godermi le aree con lei. So che presto non sarà più una lotta contro la moto ma sarà una lotta con la moto e la capacità di raggiungere zeri impossibili.
Qui vi lascio un po’ della mia storia, ora quando mi vedrete passare per le zone vedrete quel bambino sognante.

Di Asier Zurbano

VIDEO D’AZIONE CON L’OSSA TR 80

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